Il progresso tecnologico ha irreversibilmente rivoluzionato molteplici settori del diritto tradizionale. E’innegabile  la stretta connessione tra il diritto e la tecnologia, quest’ultima da intendersi come   ogni attività umana in grado di sfruttare le acquisizioni della scienza al fine di creare nuovi mezzi ovvero strumenti volti al miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo stesso.[1]
Più di altre discipline, la sfera della creatività umana è stata totalmente investita dall’evoluzione digitale inscindibilmente collegata all’informatica e alla telematica.
Negli ultimi anni, è emersa, pertanto, una nuova dimensione del diritto d’autore che coinvolge sia il processo di creazione ed elaborazione delle opere dell’ingegno sia la relativa distribuzione e fruizione da parte del pubblico.
Le opere dell’ingegno non comprendono più esclusivamente le opere di carattere creativo appartenenti alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro, alla cinematografia ma anche altre creazioni intellettuali quali i programmi per elaboratore e le banche dati. Se, tradizionalmente, l’opera creativa presentava i caratteri dell’originalità e novità, oggi, si aggiungono le ulteriori caratteristiche di interattività e multimedialità.
Alla luce di ciò, appare dunque particolarmente interessante analizzare il nuovo volto       della tutela delle opere dell’ingegno ed i corollari che da tale configurazione ne derivano: in che modo il legislatore ha regolato l’irruzione della tecnologia sul mercato delle creazioni intellettuali? Il principi architrave della materia in esame, vale a dire, il diritto di esclusiva e il diritto di distribuzione restano immuni all’uragano del mondo digitale o, al contrario, risultano, pressappoco, contaminati?
Prima di tentare di fornire una risposta a tali quesiti, val bene premettere e chiarire la portata nonché i limiti del diritto d’autore.

L’istituto in esame è volto a tutelare i risultati dell’attività intellettuale mediante il riconoscimento, in capo all’autore, di diritti di carattere patrimoniale e di carattere morale.
Il sistema delle fonti del diritto d’autore è particolarmente complesso e frammentario: in ambito internazionale sono stati stipulati una serie di trattati internazionali, volti ad armonizzare la materia, a partire dalla Convenzione di Berna per le opere letterarie e artistiche, firmata il 9 settembre 1886 e più volte rivista nel corso degli anni, fino ai trattati del 1996 WIPO copyright Treaty e WIPO performances and phonographs Traty, rispettivamente riguardanti la tutela degli autori delle opere artistiche e letterarie cui il trattato aggiunge i programmi per elaboratore e le banche dati e di artisti,esecutori e produttori di fonogrammi.
Nell’ambito dell’Unione Europea sono state emanate numerose direttive. A tal proposito, a titolo esemplificativo, si ricordano la direttiva 91/250/CE del 14 maggio 1991 riguardante la tutela giuridica dei programmi per elaboratore e la direttiva 2001/29/CE sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione”.
Si segnala, in ultimo, la recente proposta di direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale, approvata dal Parlamento europeo nel settembre 2018.
Nel nostro ordinamento manca un preciso riferimento in Costituzione sulla tutela del diritto d’autore. Tuttavia quest’ultimo gode certamente di un “tono costituzionale” che gli interpreti solitamente rinvengono, ad esempio, negli articoli 2, 4, 9, 21, 33 e 35.
In particolare, il riferimento all’art.35 Cost. risulta coerente all’inclusione della puntuale disciplina dell’istituto in esame nelle norme comprese nel Titolo IX, Capo I del libro V del codice civile: il legislatore qualifica la creazione dell’opera dell’ingegno come particolare espressione del lavoro intellettuale.
La tutela del diritto d’autore si fonda, inoltre, sulla L. 22 aprile 1941, n. 633 (Legge sul Diritto d’autore) nonché sulla Legge 18 agosto 2000, n.248.
Nella gerarchia delle fonti, particolare importanza ha assunto, infine, il Regolamento sulla tutela del diritto d’autore in Rete, adottato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) ed entrato in vigore nel marzo 2014.
La legge riconosce in capo all’autore dell’opera del’ingegno diritti di carattere morale e diritti patrimoniali.
I primi sono previsti dagli artt. 20 a 24 della Legge sul diritto d’Autore. I diritti morali si estrinsecano nel diritto di rivendicare la paternità dell’opera ovvero nel diritto all’integrità dell’opera. Sono inscindibilmente connessi alla persona dell’autore pertanto risultano inalienabili, irrinunciabili e imprescrittibili. I diritti patrimoniali, al contrario, includono il diritto onnicomprensivo di utilizzazione economica che si traduce nella facoltà di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, tradurre in altra lingua o rielaborare l’opera. A differenza dei diritti morali, quest’ultimi hanno una durata limitata nel tempo, potendo essere esercitato per tutta la vita dell’autore e per un periodo di settanta anni dopo la sua morte. Trascorso tale tempo, l’opera si considera caduta “in pubblico dominio”.

Come accennato precedentemente, l’avvento delle nuove tecnologie ha comportato cambiamenti sostanziali del concetto di opera nonché di autore e dei concetti di creatività, originalità e plagio. Negli ultimi anni è emersa la nuova figura di “opera multimediale” intesa come coesistenza e combinazione in un unico prodotto di opere di generi diversi. L’attività di elaborazione e assemblaggio di opere ovvero di parti di opere, al fine di renderle fruibili al pubblico in un unico prodotto e in modo diverso rispetto al passato, conferisce al prodotto finale originalità e novità, rendendolo, così, tutelabile. Da ciò risulta che la digitalizzazione consente la creazione di nuove opere mediante le combinazioni di elementi già noti. Inoltre, tradizionalmente l’attività creativa era frutto del lavoro del singolo individuo. Con il progresso tecnologico il concetto di autore coincide spesso con un team ovvero una comunità di soggetti.

Tanto premesso, la prima reazione legislativa all’irruzione del fenomeno digitale sul mercato delle creazioni intellettuali è stata il rafforzamento del diritto di esclusiva mediante  la ridefinizione del diritto di riproduzione e il diritto di distribuzione.[2]
La ratio sottostante al diritto di esclusiva ovvero di privativa, ossia il diritto esclusivo di sfruttamento dell’opera (direttamente o mediante cessione a terzi), è di promuovere e incentivare l’attività creativa dei privati.
Il primo corollario del diritto di esclusiva è rappresentato dal diritto di riproduzione che, nella formulazione originaria dell’art.13 della Legge sul Diritto d’Autore consisteva nella moltiplicazione in copie dell’opera con qualsiasi mezzo, come la copiatura a mano, la stampa, la litografia, la incisione, la fotografia, la fonografia, la cinematografia ed ogni altro procedimento di riproduzione. Il diritto di riproduzione, attualmente, in seguito al recepimento della direttiva 29/2001, è descritto dal legislatore in modo molto più dettagliato. Esso ha ad oggetto la moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o permanente, in tutto o in parte dell’opera, in qualunque modo o forma, come la copiatura a mano, la stampa, la litografia, la incisione, la fotografia, la fonografia, la cinematografia ed ogni altro procedimento di riproduzione.
Il secondo corollario del diritto in esame è rappresentato dal diritto di distribuzione.
Il comma 1 dell’art.17 della Legge sul Diritto d’Autore disciplina l’oggetto di tale diritto consistente nella messa in commercio, in circolazione o comunque a disposizione del pubblico dell’originale dell’opera o degli esemplari di essa con qualunque mezzo o titolo. Il comma 2 del summenzionato articolo introduce, nel nostro ordinamento, il principio di esaurimento del diritto di distribuzione tale per cui lo stesso si intende esaurito allorquando la prima vendita o il primo atto di trasferimento della proprietà sia effettuato dal titolare del diritto o con il suo consenso.
Il principio in esame risponde ad una ratio differente rispetto al diritto di esclusiva in quanto è volto a garantire che tutti possano fruire del progresso raggiunto mediante la limitazione, di fatto, del potere monopolistico di controllo del titolare del diritto sulla successiva circolazione dell’opera consentendo, così, anche l’emersione di mercati secondari.

A livello internazionale ed europeo ci si è chiesti se il principio dell’esaurimento operi solo con riferimento alle copie incorporate su supporti tangibili ovvero anche alle copie digitali dematerializzate. Quest’ultime sono caratterizzate da una natura immateriale che le consente di circolare in rete, in forma elettronica senza la necessità di alcun supporto materiale. Le opere digitali, tra l’altro, sono solitamente commercializzate   non mediante il tipico contratto di compravendita – a cui letteralmente fa riferimento il legislatore europeo e nazionale ai fini dell’applicazione del principio dell’esaurimento – bensì quello di licenza d’uso: il titolare del diritto d’autore concede al licenziatario il godimento dell’opera digitale dematerializzata per un determinato periodo di tempo. È chiaro che il contratto atipico di licenza d’uso mira ad eludere il principio dell’esaurimento.

È bene, a tal punto, dare atto dei diversi orientamenti giurisprudenziali che si sono prospettati in materia.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nelle sue più recenti pronunce[3], ha adottato un approccio ermeneutico di tipo sostanziale: al di là del dato formale – ossia il nomen – la “licenza d’uso” corrisponde a tutti gli effetti ad un contratto di compravendita in quanto l’utente riceve un diritto di uso, che può essere permanente, sulla copia di un opera digitale (ad es. il software) in seguito alla pagamento del prezzo. Il principio dell’esaurimento, pertanto, opera anche se si tratta di opere digitali dematerializzate.
Di tutt’altro avviso le corti statunitensi, secondo cui, la linea di demarcazione tra “licenza d’uso” e contratto di compravendita sarebbe così netta da giustificare la non operabilità del principio in esame in presenza della prima ossia nel caso in cui il titolare specifichi il nomen del negozio (quindi, licenza) e limiti altresì, in modo significativo, gli usi nonché la redistribuzione della copia. Il contrasto giurisprudenziale sul punto manifesta in modo emblematico le esigenze opposte sottese alla materia del diritto d’autore: promuovere e incentivare le creazioni intellettuali da parte dei privati e, allo stesso tempo, garantire al pubblico la fruizione dell’opera dell’ingegno sia essa materiale, immateriale ovvero digitale.
L’orientamento della Corte di Giustizia mira, in un certo senso, a depotenziare il diritto di esclusiva: se infatti il principio dell’esaurimento operasse solo con riferimento a copie incorporate in supporti tangibili allora si legittimerebbe il controllo del titolare del diritto d’autore anche sulla successiva circolazione via Internet nonché la richiesta di una nuova remunerazione in caso di rivendita.
Al di là dell’oceano, invece, si tende ad un rafforzamento particolare del diritto di privativa estendendo il monopolio alla commercializzazione dei contenuti digitali:la nuova forma di sfruttamento resa possibile dalle nuove tecnologie, secondo le corti statunitensi, deve ricadere nell’esclusiva.

L’avvento dell’era digitale ha dunque messo in crisi il tradizionale modello del diritto d’autore. È quanto mai necessario rinvenire un equilibrio tra gli opposti interessi dei titolari del diritto e i fruitori dell’opera dell’ingegno. La disciplina delle creazioni intellettuali sembra oscillare tra tensioni contrapposte di chi mira all’estensione del monopolio nella dimensione telematica e chi, al contrario mira a depotenziare il diritto di privativa.

[1] G. PASCUZZI, Il diritto nell’era digitale, Il Mulino, 2016

[2] G. PASCUZZI, cit.

[3] ex multis, Corte di giustizia UE, 3 luglio 2012, causa n. 128/11

Benedetta Romano