Il 10 gennaio 2019 è stata pubblicata un’importante pronuncia giurisprudenziale del Tribunale di Roma in merito alla nota vicenda processuale che ha visto come protagoniste la società RETI TELEVISIVE ITALIANE S.p.A. (di seguito, RTI) e la società di diritto americano VIMEO LLC (di seguito, VIMEO).

Ciò che ha immediatamente fatto eco a tale sentenza è stato, senza dubbio, il dispositivo e cioè la condanna al risarcimento del danno patrimoniale in capo alla seconda – per un importo complessivo di euro 8.5 milioni – in favore della società RTI.       

In questa sede, tuttavia, verranno esaminate le principali motivazioni assunte dal Collegio ai fini della risoluzione di una vicenda giudiziaria complessa perché si colloca sulla “linea sottile” tra la tutela del diritto di proprietà intellettuale e la tutela della libertà d’impresa appannaggio degli internet service provider (di seguito, anche ISP).

Nel marzo 2012, RTI, in qualità di produttore e di titolare dei diritti di sfruttamento di diversi programmi televisivi, conveniva in giudizio VIMEO- ai sensi degli artt. 156, 78-ter e 79 della Legge 22 aprile 1941 n. 633 (testo normativo di riferimento per la protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio) in quanto lamentava uno sfruttamento illecito, da parte della società di diritto americano, di numerosi filmati di propria titolarità. In particolare, RTI chiedeva al Tribunale di Roma che venisse accertata la responsabilità di VIMEO, per aver consentito la diffusione di contenuti audio/video di proprietà della medesima, attraverso il suo portale internet www.vimeo.com. È bene evidenziare – sin da subito – che prima dell’instaurazione del giudizio, parte attrice aveva prontamente provveduto ad inviare a VIMEO una diffida attraverso la quale intimava quest’ultima a rimuovere i contenuti indicati in quanto lesivi del diritto d’autore e di proprietà industriale.

VIMEO, d’altro canto asseriva che, agendo in qualità di mero prestatore dei servizi dell’informazione, non fosse obbligata ad un generalizzato dovere di controllo preventivo dei contenuti caricati sul portale. Tanto premesso, invocava l’esclusione di responsabilità sancita, in ambito europeo, all’art. 15 della Direttiva 2000/31/CE (meglio nota come direttiva sul commercio elettronico) e, in ambito nazionale, agli artt. 16 e 17 del decreto legislativo di recepimento n.70/2003. A ciò, la predetta società aggiungeva che la diffida presentata da RTI appariva del tutto generica, non potendo essere quindi considerata alla stregua di un’”adeguata segnalazione” in presenza della quale attivarsi per rimuovere i contenuti lesivi del diritto d’autore.

La pronuncia in esame vanta sicuramente il merito di trattare in modo completo e estremamente chiaro una serie di questioni giuridiche sulle quali non si è ancora consolidato un vero e proprio orientamento giurisprudenziale né in ambito europeo né in ambito nazionale.     
In primo luogo, il Tribunale ha analizzato la categoria degli internet service provider ossia di quei soggetti che operano nell’ambito della società dell’informazione, fornendo ai propri utenti, accesso ad internet. In sostanza, l’ISP svolge un’attività di intermediazione tra chi intende comunicare un’informazione e chi intendere riceverla

L’attività di intermediazione che nel caso di specie rileva è quella di hosting provider.   
L’art. 14 della Direttiva definisce il servizio di hosting come un servizio di memorizzazione di informazioni fornite dal destinatario del servizio. Tuttavia, la norma aggiunge che il prestatore non sia responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio nell’ipotesi in cui: a) non sia effettivamente al corrente del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione; b) non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso. Quanto detto, trova una puntuale conferma anche all’art. 16 del decreto legislativo di recepimento. In linea generale, quindi, non sussiste in capo al provider l’obbligo generale di sorveglianza ovvero di ricerca attiva di fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.

Se il Tribunale avesse voluto applicare letteralmente la normativa sin qui esaminata alla fattispecie in esame allora – evidentemente-  i giudici avrebbero dovuto riconoscere l’esenzione della responsabilità in capo a VIMEO: ebbene, l’istruttoria processuale, le relazioni tecniche depositate e le indagini peritali compiute sul portale hanno messo in evidenza alcune peculiarità nella gestione dell’attività di intermediazione tali da far sì che i giudici configurassero la società di diritto americano come hosting provider attivo. In quanto attivo, VIMEO trae abitualmente dall’organizzazione dei contenuti un sostegno di tipo finanziario e il servizio offerto perde ilcarattere della neutralità.     
 La pronuncia in esame, accoglie quell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’hosting provider perde il carattere “passivo” allorquando i servizi offerti si estendono ben al di là della predisposizione del solo processo tecnico che consente di attivare e fornire accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizioni da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la trasmissione intervenendo così nell’organizzazione e selezione del materiale trasmesso. [1] Nel caso di specie, infatti, VIMEO ha esercitato una serie di attività definite “multisided”: i contenuti immessi in rete sono stati selezionati, indirizzati, correlati, associati ad altri. A nulla rileva la circostanza per la quale le suddette attività siano state gestite mediante un software e quindi senza intervento dell’operatore fisico.

Vi è di più.     
La rilevanza decisiva in ordine al riconoscimento della responsabilità in capo al provider VIMEO è stata dettata proprio dalla ritenuta idoneità della diffida stragiudiziale e delle ulteriori segnalazioni effettuate da RTI nei confronti dell’hosting. Secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza europea e nazionale, affinché si configuri l’obbligo di rimozione dei contenuti illeciti sia sufficiente una diffida che menzioni chiaramente almeno i titoli dei programmi televisivi su cui il titolare vanta diritti esclusivi di sfruttamento economico. Ebbene, la consulenza tecnica d’ufficio ha rilevato che già all’epoca delle segnalazioni (e cioè prima del 2012, anno di incardinazione del giudizio), la tecnologia utilizzata da VIMEO era tale da consentirgli facilmente l’individuazione del materiale illecito, non necessitando della preventiva conoscenza dell’URL. A ciò si aggiunga il denunciato poco diligente comportamento della società che ben avrebbe potuto avvalersi del software – disponibile all’epoca e quindi potenzialmente utilizzabile – cd. Video finger printing, il quale costituiva la tecnica più efficace e efficiente per il controllo sia preventivo che successivo dei contenuti da pubblicare o pubblicati ed alle cui risultanze subordinare la stessa pubblicazione e/o permanenza on line del contenuto audiovisivo considerato.

È particolarmente interessante quest’ultima motivazione che individua una responsabilità da “contatto sociale” in capo a VIMEO per non aver assunto un comportamento diligente, quale sarebbe stato ragionevole attendersi, volto alla necessaria attività di verifica e controllo.       
Il Tribunale di Roma ha così riconosciuto, nei confronti della società del Gruppo Mediaset un risarcimento di 8,5 milioni di euro, inibendo, inoltre, l’ulteriore caricamento di contenuti audio/video non autorizzati pena una sanzione di 1.000 euro per ogni singola violazione e 500 euro per ogni giorno di ritardo nella rimozione.


[1] Ex multis Trib. Milano, ord.25.05.2013; Trib. Milano, ord. 5.9.2013.

Benedetta Romano