La Corte di Cassazione sez. VI Penale, con ordinanza del 10 marzo – 6 aprile 2016, n. 13884 ha affrontato il delicato tema della legittimità delle intercettazioni disposte attraverso l’installazione di un captatore informatico attivati su computer o smartphone e i limiti di utilizzabilità di tali modalità di captazione. Con la stessa ordinanza la Cassazione ha rimesso la questione alle Sezioni Unite.

La disciplina generale sulle intercettazioni è contenuta nel capo IV del Titolo III del Codice di Procedura Penale (artt. 266 e ss. c.p.p.). Com’è noto, l’intercettazione rappresenta un mezzo di ricerca della prova attraverso il quale, mediante appositi strumenti tecnici, all’insaputa di almeno uno degli interessati si prende cognizione di comunicazioni telefoniche (cd. intercettazioni telefoniche) o di conversazioni tra persone presenti (cd. intercettazioni ambientali).

Le intercettazioni, in generale, sono ammesse solo per alcune tipologie di reato individuate all’art. 266 c.p.p.. Per quanto riguarda esclusivamente le intercettazioni ambientali, queste trovano un preciso limite nel disposto dell’art. 266, comma 2, secondo cui qualora “avvengano nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale (ovvero le abitazioni o altri luoghi di privata dimora, ndr), l’intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa”. Una deroga a questo principio è stata introdotta dall’art. 13 del D.L. 152/1991 con il quale si è stabilito che, nei procedimenti relativi a un delitto di criminalità organizzata, le intercettazioni di comunicazioni tra presenti nei luoghi indicati dall’articolo 614 c.p. è consentita anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo l’attività criminosa.

Con una precedente sentenza la Corte di Cassazione (Cass. Sez. VI penale, 26.5.2015, n. 27100) ha chiarito che l’intercettazione da remoto delle conversazioni tra presenti mediante l’attivazione, tramite il c.d. agente intrusore informatico, del microfono di un apparecchio telefonico smartphone, rientra tra le cd. intercettazioni ambientali e, pertanto, sono sottoposte ai limiti previsti nel codice di rito. Nella pronuncia del 2015, la Corte ha evidenziato come le intercettazioni mediante “captatore informatico” consentano di captare conversazioni tra presenti in una pluralità di luoghi, a seconda degli spostamenti del soggetto, di fatto senza alcuna limitazione di luogo. Alla luce di tale peculiarità e considerato il principio costituzionale dell’inviolabilità della libertà e della segretezza di ogni forma di comunicazione (art. 15 Cost.), l’art. 266, comma 2, c.p.p. deve essere interpretato in senso restrittivo, escludendo che le captazioni ambientali possano avvenire “ovunque il soggetto si sposti”. Pertanto, la Corte ha ritenuto ammissibili le intercettazioni ambientali purché autorizzate con riferimento a luoghi individuati ab origine e ben circoscritti e, la mancanza nel decreto autorizzativo di tali indicazioni, determina l’illegittimità del provvedimento e quindi l’inutilizzabilità delle captazioni tra presenti.

Nel caso relativo alla sentenza in commento, il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Palermo aveva autorizzato le intercettazioni ambientali mediante captatore informatico disponendo che queste dovevano eseguirsi “nei luoghi in cui si trova il dispositivo elettronico” in uso all’indagato. La difesa ha proposto ricorso in Cassazione deducendo, tra gli altri motivi, l’illegittimità del decreto autorizzativo in quanto contrario ai limiti imposti dall’art. 266, comma 2 e in quanto privo di un riferimento specifico ai luoghi, con conseguente richiesta di declaratoria di inutilizzabilità del contenuto delle conversazioni captate.

Nella parte in diritto la Corte ha ritenuto di doversi discostare dalle argomentazioni e dalla tesi sostenuta nella precedente pronuncia del 2015 per i motivi che di seguito si illustrano.

Preliminarmente dal punto di vista tecnico, osserva la Cassazione, l’indicazione precisa e anticipata dei luoghi di captazione è incompatibile con l’attività di intercettazione mediante “agente intrusore informatico”, in quanto il dispositivo elettronico in cui viene iniettato il virus informatico è destinato a spostarsi unitamente all’utilizzatore. Per queste ragioni è impossibile per il Giudice conoscere preventivamente i luoghi ove autorizzare l’intercettazione con queste modalità.

Dal punto di vista strettamente giuridico occorre, quindi, verificare se la disciplina delle intercettazioni ambientali (art. 266 c.p.p.), pacificamente applicabile alle intercettazioni mediante captatore, consente di procedere alle intercettazioni senza indicazione del luogo ovvero se, come ritenuto nella sentenza del 26.5.2015, n. 27100, l’omessa indicazione comporta l’illegittimità del decreto o quanto meno l’inutilizzabilità dei risultati dell’attività.

Sul punto la stessa Corte è intervenuta più volte, affermando il principio secondo cui nelle intercettazioni di comunicazioni tra presenti è richiesta l’indicazione dell’ambiente nel quale deve avvenire l’operazione solo quando si tratti di abitazioni o luoghi privati poiché, come richiesto dall’art. 266, comma 2 c.p.p., è necessario verificare se vi è fondato motivo di ritenere che, in tali luoghi, sia in atto un’attività criminosa. Al di fuori di questa ipotesi, l’indicazione degli ambienti sottoposti alla captazione è meramente funzionale alle modalità esecutive dell’intercettazione, che avviene mediante l’installazione fisica di microspie ambientali.

Nella sentenza in commento, la Cassazione osserva che “il principio secondo cui il decreto deve individuare con precisione i luoghi in cui dovrà essere eseguita l’intercettazione delle comunicazioni tra presenti non solo non è desumibile dalla legge ma, come si è visto, non risulta essere stato mai affermato dalla giurisprudenza e, inoltre, non sembra costituire un requisito significativo funzionale alla tutela dei diritti in gioco

Dal punto di vista funzionale, nelle intercettazioni mediante captatore informatico non sussiste alcuna esigenza di indicare i luoghi di captazione, trattandosi di un’intercettazione “itinerante” e quindi non prevedibile. Per queste ragioni, non essendo possibile impedire la captazione di comunicazioni all’interno del domicilio o in altri ambienti privati, il controllo non può che essere successivo all’intercettazione e riguardare eventuali comunicazioni captate in uno dei luoghi indicati dall’art. 614 c.p., a meno che non si tratti di intercettazioni disposte ai sensi dell’art. 13. D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, per cui non si porrebbe neppure il problema dei luoghi di privata dimora. Nelle intercettazioni mediante captatore informatico, quindi, la fase dello stralcio rappresenta il primo momento in cui è possibile verificare se le comunicazioni registrate devono essere espunte dal procedimento perché considerate inutilizzabili.

Tuttavia, la stessa Corte evidenzia come non sempre il luogo ove sono avvenute le comunicazioni intercettate sia di immediata individuazione, soprattutto nell’ambito di un procedimento de libertate, considerato che la decisione del giudice si basa sulle risultanze del solo “brogliaccio” dal quale difficilmente potrà emergere il luogo di captazione. In tutti questi casi, quindi, diventa fondamentale l’apporto della difesa alla quale deve essere assicurata la partecipazione o, quanto meno la conoscibilità delle conversazioni intercettate.

Per le ragioni sin qui esaminate, la Corte di Cassazione, al termine di una lunga ed articolata esposizione, ritenendo di non poter condividere le precedenti conclusioni formulate nella sentenza n. 27100/2015 e considerata la delicatezza della materia, in cui l’uso del captatore informatico può determinare, da un lato, la compromissione di diritti costituzionali (riservatezza, libertà e segretezza delle comunicazioni, inviolabilità del domicilio), e dall’altro, può assicurare una maggiore capacità investigativa finalizzata alla repressione di gravi reati, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite le seguenti questioni:

– se il decreto che dispone l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni attraverso l’installazione in congegni elettronici di un virus informatico debba indicare, a pena di inutilizzabilità dei relativi risultati, i luoghi ove deve avvenire la relativa captazione;

– se, in mancanza di tale indicazione, la eventuale sanzione di inutilizzabilità riguardi in concreto solo le captazioni che avvengano in luoghi di privata dimora al di fuori dei presupposti indicati dall’art. 266, comma 2, cod. proc. pen.;

– se possa comunque prescindersi da tale indicazione nel caso in cui l’intercettazione per mezzo di virus informatico sia disposta in un procedimento relativo a delitti di criminalità organizzata.